ROSE E SCUSE PER BEUYS
Una delle cose che preferisco è scrivere, mi diverto quando posso raccontare
qualcosa di eclatante a proposito di un artista. Qualcosa di così straordinario
da suggerire una visione completamente nuova di un personaggio che prima
vedevo come un capitolo intoccabile dell'Argan, e non come un essere umano
con le sue bizzarrie, le sue contraddizioni, le sue idee assurde e il suo
coraggio nel realizzarle e propinarle al mondo.
Così dopo aver scritto le mie illuminanti considerazioni su Beuys ho cliccato
su Invia e sono andata a dormire serena e soddisfatta.
Ma evidentemente Beuys non era altrettanto soddisfatto di me perché mi
è apparso in sogno.
Era proprio lui in bianco e nero (strano perché io sogno sempre a colori)
con il suo gilé e il cappello in testa.
Era solo in uno spazio completamente vuoto in una luce bianca abbacinante.
Mi guardava fisso negli occhi, serio, immobile.
"Quanta scena…" ho pensato. Però avevo dimenticato che in sogno i pensieri
non stanno sempre chiusi per bene nella scatola cranica come accade nella
realtà, e per di più non necessitano di traduzione; infatti Joseph ha sentito
quello che pensavo, ha abbandonato immediatamente l'ambientazione da Takeshi
Kitano e mi sono ritrovata nella cucina della sua casa di campagna a subire
una ramanzina da un Beuys molto seccato.
"Ma kome ti permetti?" ha esclamato innervosito dalle mie irriverenti considerazioni.
Intanto io ero costretta dalla logica del sogno a sbucciare patate e affettare
verze per una delle sue spaventose ricette.
Lo so che il sogno era mio, ma evidentemente il suo potere in questo regno
che confina con la morte era superiore, e ho dovuto adattarmi alle sue decisioni.
Infatti Beuys, la stanza, le verdure e io stessa, eravamo tutti in bianco
e nero, se fosse stato per me avrei scelto un'ambientazione più variopinta
e soprattutto avrei inserito il coyote come guest star.
Così ho dovuto ascoltare tutte le sue obiezioni: non avevo capito l'importanza
del suo lavoro, le sue idee rivoluzionarie sull'economia, il suo energy
plan for a western man, il discorso sulla natura, l'ecologia, gli alberi,
la medicina alternativa, le lavagne…
Dopo avere subito l'inteminabile monologo, ho capito che non era un sogno
ma un incubo.
Certo una persona normale si sarebbe spaventata a morte ma non io che sono
un'esperta. Ho letto ogni libro horror possibile e immaginabile, ho visto
tutti i film del terrore, sono laureata in Nightmare con tesi su Freddy,
quindi so che anche se il mio sogno viene occupato da un Beuys particolarmente
loquace, io conservo sempre i diritti d'autore e posso scegliere, decidere
e disporre.
Così ho piantato il coltello sul tavolo come solo Long John Silver saprebbe
fare e ho detto:
"Basta così. Queste cose le ho già lette, hanno scritto un milione di libri
su di te!"
Beuys si è zittito e si è inchinato soddisfatto, così ne ho approfittato
per proseguire:
"Non mi interessano né le tue assurde teorie economiche, né i tuoi monologhi,
né le tue actions… tranne quella col coyote."
Il Coyote è comparso all'istante e si è inchinato soddisfatto.
"Joseph il mondo pensa che tu sia un genio, il tuo lavoro viene considerato
importante, perciò puoi tranquillamente ignorare la
mia opinione; siamo artisti e gli artisti hanno l'obbligo morale di pensarla
come vogliono su qualsiasi altro artista. Quindi lasciamo perdere le mie
considerazioni sulla tua arte. Una sola cosa vorrei capire di te: qual è
il segreto di Joseph Beuys? Perché quelli che ti incontrano sono pazzi di
te, hai fatto un corso di ipnotismo per riuscire ad incantare tutti a quel
modo?"
Beuys tace.
Aspetto... lui mi guarda serio e continua a tacere. Capisco che non ha intenzione
di rivelare il suo segreto a una come me che lo ha preso in giro senza il
minimo segno di rispetto o venerazione. Il silenzio si prolunga nell'infinito
tempo del sogno. Non so che fare per convincerlo e sto per cedere quando
il Coyote si avvicina. Lo sguardo di Beuys si sposta da me al Coyote, i
due si fissano poi accade una cosa che può avvenire solo in sogno.
Lentamente e inesorabilmente il Coyote sorride a Beuys, è un sorriso feroce
e allegro, libero, irresistibile. Un sorriso bellissimo.
Beuys non resiste al richiamo, finalmente abbandona il personaggio che si
è costruito e accetta di scendere: è la prima volta che lo vedo sorridere.
Ci sediamo a tavola tutti e tre e Beuys mi racconta una storia.
Durante il suo viaggio in America (i due si scambiano uno sguardo di intesa)
Beuys si fermò a Chicago e Minneapolis per una serie di conferenze. Joseph
considera i dibattiti e le discussioni come la sua vera opera, ma per coloro
che non potevano essere presenti ad assistere, ha prodotto anche oggetti
e multipli.
Uno di questi si intitola American Hare Sugar e ha una storia curiosa. Durante
un pranzo alla Nye's Polonaise Room di Minneapolis, Beuys vide sul tavolo
un pacchetto di zucchero con l'immagine di un coniglio. A quella visione
(era fissato con le lepri) Beuys ha coinvolto tutti quelli che stavano pranzando
con lui per fare incetta di ogni pacchetto di zucchero presente nel ristorante,
perfino nella dispensa.
Dopo
avermi raccontato questo breve aneddoto Beuys tace per lasciarmi vedere
con i miei occhi il sogno: vedo lui in questa sala con altre persone, ognuno
è molto preso da se stesso. Sguardi obliqui, sorrisi calibrati, valutazioni
al carato; in questa atmosfera tipica dell'ambiente, Beuys ha un lampo di
genio, una folgore di follia. Coinvolge tutti in una caccia alla lepre,
fa alzare i commensali, li dirige come un bucaniere, li guida all'arrembaggio
delle cucine, fa ridere il personale, crea casino ovunque, con le sue parole
e i suoi gesti da capo tribù, conferisce a un pacchetto di zucchero l'aura
di oggetto magico.
Vedo tutto questo e capisco il fascino di Beuys, la sua capacità di investire
di unicità gli oggetti e i gesti quotidiani. Ha trasformato un pranzo in
un evento, qualcosa di unico, irripetibile, inatteso. Qualcosa da ricordare.
Ora è il mio momento di riparare…
Faccio comparire nella cucina di Beuys un bosco di rose d'argento (a lui
non piacerebbero i fiori recisi), gli mando un bacio e lo lascio a sognare
se stesso.
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