Il manuale improbabile di storia dell'arte – Capitolo 7

 

EDI

A volte leggo affermazioni così perentorie da farmi pensare automaticamente: "Sono d'accordo!" poi dopo tre righe realizzo che non soltanto non sono d'accordo con l'affermatore ma mi domando come fa lui a essere d'accordo con se stesso.
In realtà non è vero, non sono d'accordo già alla prima lettura ma non avevo mai scritto "perentorio" in vita mia e non sapevo come fare a costruirgli attorno un periodo…
Che premessa demente.
Dicevo, mi sono imbattuta casualmente in una frase che comunica formalmente quanto segue: un'idea espressa nelle astratte forme concettuali della filosofia e nelle forme sensibili dell'arte non è più la stessa idea.
Ma come?!? ho pensato.
Un'idea è un'idea e se è la stessa è la stessa!
A volte penso in modo leggermente tautologico, così sono sicura di non venire contraddetta da nessuno, neanche dal mio cervello che purtroppo ha questa deprecabile abitudine. Penso anche in modo figurato, penso per immagini, visualizzo… va bè lo ammetto, penso a fumetti, quindi un'idea per me non è un'astratta forma concettuale, bensì una lampadina sospesa sul cranio dell'ideatore (credo che si tratti dell'iconografia post-disneyana dell'aureola).
Ergo, l'idea è sempre la stessa (la lampadina), solo che il filosofo ci mette duemila ore per indagare l'essenza della lampadina (nota anche come Sommo Filamento al Tungsteno) mentre l'artista dipinge, scolpisce, fotografa, videorappresenta, allestisce o pixelizza la rappresentazione della lampadina, e ne consegna al mondo l'illuminante immagine.
Chiaro no?
Stavo già per passare serenamente alla frase successiva quando ho ricordato che avevo un debito di riconoscenza con l'autore, così mi è toccato di rivedere la mia posizione.
Intanto che medito vorrei specificare che i debiti che riconosco sono tutti di natura divertimentista. Mi spiego: uno legge un libro di trecento pagine corpo otto, aspettandosi una quantità ics di nozioni e idee brillanti. Quindi non prova nessuna gratitudine nei confronti del Serissimo Autore che ha consumato la giovinezza sulle sudate carte, è diventato gobbo, si è ridotto a parlare con le siepi e coi passeri solitari, perché quelli da compagnia non lo calcolano neanche di striscio (non è che sto leggendo le Operette Morali ma trovo irresistibile la figura di Giacomo Leopardi).
Se un Autore serio e compunto infila per errore una notizia assurda in mezzo alle sue elucubrazioni allora gli sarò eternamente grata. Non è facile trovare queste gemme rare ma quando capita è una festa.
In questo caso il mio Serissimo Autore parla di uno dei suoi maestri, Max Dvořák.
Dvořák trovava delle carenze in Schnaaze perché fra le sue considerazioni storico culturali e le sue indagini storico artistiche mancava la cinghia di trasmissione.
E qui l'Autore si atteggia ad allievo che ha superato il maestro e dice che la cinghia di trasmissione manca anche in Burckhardt, anzi manca nello stesso Dvořák.
Non voglio millantare fingendo di conoscere tutti questi illustri ma a questo punto mi sono chiesta se stavo leggendo le teorie dell'arte o le teorie del libretto di circolazione della mia macchina.
Comunque a Dvořák mancherà anche la cinghia di trasmissione ma non gli mancano certo gli accenti stravaganti.
Insomma in virtù di questo debito assurdo, ho accettato di riconsiderare l'affermazione dell'autore sulle idee e ho cogitato ben DUE profonde riflessioni.

Uno: l'idea che non è più la stessa idea, a seconda della forma nella quale viene espressa, è una vagabonda indecisa in crisi di identità; però è affascinante come tutte le cose mutevoli e cangianti di cui non riesci ad afferrare la forma, perché ti sfuggono tra le dita come anguille di sabbia.

Due: forse l'arte concettuale ha tentato l'impossibile, cioè esprimere l'idea astratta in forma concreta. Magari non è una giustificazione valida per i misfatti che ha commesso ma è inutile continuare a fingere che Duchamp non sia mai esistito. E' molto meglio prendere atto delle cose anziché ignorarle sperando che in questo modo quello che non ci piace scompaia per incanto.
Voglio dire, bisogna riconoscere qualche merito anche agli artisti concettuali, non si può definire Beuys un carpentiere… casomai un giardiniere!
Se non sfotto Beuys una volta alla settimana non sto bene… adesso poi mi sta diventando pure simpatico. Non lo trovo più uno così!

 

capitolo 8 – Misfatto >

 
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