Dama con Shrimpcat
Le due creature rappresentate sulla tela, una più grande e una più piccola, sono colte in una posa classica da ritratto. Lo sfondo è costituito da un sereno paesaggio naturale, una vasta distesa pianeggiante all’apparenza ricoperta di erba che si estende in lontananza fino a un fiume, e all’orizzonte una catena di monti sotto un cielo lanoso in una chiara luce mattinale.
I soggetti non somigliano a nessun essere reale o leggendario del nostro mondo presente o passato, e non conosciamo gli accadimenti raffigurati nel quadro, ma da alcuni particolari possiamo intuire qualcosa della loro vita e della loro personalità.
Il personaggio femminile al centro della tela indossa un abito che richiama alla memoria lo stile delle nobili dame del Cinquecento, e questa impressione sembra confermata anche dall’impostazione delle figure che ricorda la tradizione della ritrattistica rinascimentale, prima fra tutte l’opera “Dama con l’ermellino” di Leonardo da Vinci. Se da un lato tutti questi aspetti rammentano influenze riconducibili a quel periodo, osservando il dipinto ci accorgiamo che mentre le similitudini formali associano questo universo sconosciuto a un passato che ci appartiene, i personaggi raffigurati non sono altrettanto propensi a rientrare nel paradigma dolce e raffinato dell’arte cinquecentesca.
La Dama indossa un abito elegante e un prezioso gioiello, ma la sua espressione non trasmette la serenità e la compostezza che ci saremmo aspettati da un’occasione così formale come la posa per un ritratto. Data la conformazione del suo volto non possiamo sapere se sta sorridendo, né se nel suo mondo esista un equivalente del sorriso, ma lo sguardo ci comunica che qualcosa ha turbato la sua tranquillità, e anche se non conosciamo con certezza la causa del suo disappunto possiamo supporre che non sia molto lontana e che sia di colore rosso.
La mano della Dama citando il gesto di Cecilia Gallerani accoglie una piccola creatura, ma a differenza del docile ed elegante ermellino leonardesco, l’accigliato amico della nostra Dama non sembra disposto a lasciarsi ritrarre senza opporre resistenza.
Dal titolo del quadro sappiamo che si tratta di uno Shrimpcat, ossia un ibrido tra un gatto e un gamberetto, come è confermato anche dal colore scarlatto e dalla forma segmentata della lunga coda.
Nella storia dell’arte l’inclusione di un animale in un dipinto di solito ha un significato simbolico, soprattutto se è associato a un essere umano; per fare solo un esempio, l’ermellino dipinto da Leonardo rappresenta purezza e moderazione.
Anche lo Shrimpcat potrebbe raffigurare un valore morale o alludere a un attributo della Dama, come il suo nome o il suo casato, ma ho l’impressione che lo Shrimpcat sia nel dipinto a rappresentare se stesso non tanto come elemento della sua specie o animale da compagnia, ma come individuo dotato di identità personale e consapevolezza di sé, fisicamente più piccolo ma con pari dignità e importanza della Dama.
Lo Shrimpcat non si presenta in modo neutro o impersonale, al contrario è determinato ad esprimere in forma inequivoca il proprio pensiero. Come accade per le creature dotate di libero arbitrio e intelligenza, il suo atteggiamento manifesta contraddizioni e ambiguità, acconsente a far parte del ritratto ma ci tiene a chiarire che non si trova lì solo a scopo decorativo o perché la Dama vuole così. Si tratta di una sua scelta volontaria, non subisce la situazione, la accetta per pura cortesia ma mantiene la sua posizione e si vuole assicurare che non ci siano dubbi riguardo a ciò che sta pensando.
Non conosciamo la storia dell’amicizia tra i due protagonisti, ma possiamo notare che il volto della Dama mostra una conformazione segmentata che riflette la struttura della coda dello Shrimpcat, quasi che in questa realtà i confini tra le specie non siano rigidi: il felino possiede evidenti caratteristiche marine, la Dama, nonostante gli abiti e il gioiello indichino civilizzazione, non ha dimenticato di preservare aspetti inequivocabili della sua natura felina e pur avendo un sembiante antropomorfo conserva sul viso tracce di un legame con l’ambiente acquatico e allo stesso tempo con la stirpe dello Shrimpcat.
Le creature di questo ecosistema sembrano avere mantenuto uno stretto legame con la natura, e le interconnessioni non si limitano alle simbiosi e ibridazioni tra i regni degli esseri viventi, ma si estendono anche ai domini che a noi possono apparire inanimati, un universo fluido dove ogni cosa può trasformarsi in un’altra. Il volto della Dama evidenzia il suo vincolo con il mondo degli animali, ma la sua fisiologia disposta ad accogliere la metamorfosi oltrepassa il confine dell’animato, i suoi capelli per colore e tendenza a raggiungere il cielo mostrano una chiara affinità con la società delle nuvole.
Comunque bisogna riconoscere che sebbene le nubi alle quali siamo abituati non sembrino dotate di coscienza, in questo habitat non è certa la loro oggettualità, anche i capelli-nuvola, infrangendo un’altra certezza di divisione tra regni rivelano un carattere e temperamento piuttosto turbolento, il loro movimento burrascoso fa intuire che non sono propensi a raggiungere una conformazione nuvolosa pacifica e indifferente, ma mostrano un intento temporalesco, indipendente e volontario.
Osservando la scena viene da chiedersi se questa caratteristica sia una costante, cioè se nel mondo del dipinto le capigliature delle Dame fluttuino sempre verso il cielo con l’intento di congiungersi alle nuvole sorelle, o se è una reazione scatenata dallo stato d’animo della Dama.
Purtroppo non abbiamo nessun elemento che ci aiuti a capire cos’abbia combinato lo Shrimpcat per suscitare questo effetto. Non ci resta che sperare di incontrarne uno per scoprirlo.
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