L'ultima parola di un filosofo
Cosa accade, quando le parole vengono private
del loro significato?
Nelle sue opere più recenti, intitolate "sculture linguistiche",
Andreas Gehr costruisce delle parole con lettere fatte di sottili lastre
di vetro trasparente, che in ragione della successiva stratificazione dei
segni risultano illeggibili.
Le parole, a loro volta, si trasformano secondo una propria logica in forme
geometriche, che, con le loro linee orizzontali e verticali, evocano lo
stadio originario della scrittura. Riducendo al silenzio il più fondamentale
tra i nostri strumenti di comunicazione, Gehr dischiude un nuovo campo di
significati.
In Critical statement (Affermazione critica, 1998), ad esempio, l'artista
mette a tema le caratteristiche del "nulla" e della "contraddizione".
Attorno ad un grande e pesante telaio metallico, sono posizionate otto parole
di vetro, che paiono levitare. All'interno della grave cornice, il vuoto.
Il contenuto è trasposto dall'interno all'esterno e si presenta all'osservatore
come una costellazione di parole mute. Vuotando in questo modo l'opera,
l'artista ingenera una tensione "critica" non soltanto all'interno,
ma anche all'esterno dell'opera stessa, sì da investirne anche l'osservatore.
Un altro esempio, seppure differente, è la serie Lying Word, n°1
– n°5 (Parole distese, 1998), dove il titolo collettivo ricopre
un ruolo determinante per la comprensione del significato dell' opera. Questa
è composta di cinque cubi neri dalla faccia frontale aperta e sovrapposti
orizzontalmente, le cui dimensioni sono grandi a sufficienza da poter accogliere
al proprio interno una persona distesa. All'interno di ogni cassa giace
una parola di vetro, poggiata orizzontalmente sulla parete di fondo.
Ciascuna delle cinque parole è stata scelta in base ad un' attenta
e precisa riflessione; custodisce inoltre in sé la consapevolezza
dell'incoerenza. Si tratta di parole il cui significato non ha per noi oggi
più nessun valore. In altri termini, sono parole divenute "menzogne".
D'altro canto, paradossalmente, si tratta di parole indecifrabili. La questione
che si pone, allora, è come l'opera debba essere "letta".
L'artista vuole forse spingerci ad immaginare, ad intendere queste parole
come corpi distesi o tranquillamente addormentati, nell' attesa silenziosa
di ritrovare il proprio significato, e con esso il proprio potere?
Fin dalle prime opere di Gehr traspare l'interesse per un "linguaggio
aperto", un campo semantico in cui il significato non è costituito
né da un'associazione, né da una contestualizzazione. Opere
come Mein Alphabet (Il mio alfabeto, 1973), Solitär (Solitario, 1974),
Tonband (Nastro d'argilla, 1976), ed in particolar modo l'installazione
Senza titolo esposta nel 1975 nel Museo d' Arte Contemporanea di Lucerna
(Kunstmuseum Luzern), tradiscono questa ossessione. Ognuna delle opere menzionate
rappresenta lo sviluppo di un vocabolario personale e libero nella forma.
Nell'ultimo di essi, Andreas Gehr dispone su dei tavoli d'acciaio (della
lunghezza di 300 cm, profondi 150 cm ed alti 130 cm) dodici forme fondamentali,
riprodotte in differenti grandezze e spessori. I 10.000 piccoli oggetti
d'argilla non bruciata, disposti all'altezza degli occhi, sono semplici
significanti del conferimento di forma, che si rivelano portatori di senso,
ma soltanto a seguito della considerazione del contesto specifico in cui
giacciono. Andreas Gehr è coinvolto essenzialmente in queste situazioni
plastiche, il cui senso si realizza alla sola condizione che la loro rilevanza
risulti da nient'altro che dal dato stesso. Le figure cioè non vanno
lette come segno "per qualcos' altro". In un precedente lavoro
del 1969, Gehr incide per 365 e ¼ volte la parola OGGI su di una
lastra di metallo. Il gesto ripetitivo conferisce ritmo poetico al moto
circolare del tempo: ogni giorno assume il carattere del nuovo inizio.
Uno stadio ulteriore del lavoro di Gehr è caratterizzato dall'impiego
della "struttura aperta". L'artista prende avvio da una forma,
che a sua volta dà origine a nuove relazioni tra le cose. Riguardo
alle sue due installazioni nella Galleria Ydessa Hendeles Gallery a Toronto,
Andreas Gehr afferma:
"Le mie installazioni rappresentano per me una rete di punti di riferimento
entro cui si instaurano relazioni transeunti e reciproche, e che risultano
da una combinazione calcolata di elementi condotti da contesti tra loro
incompatibili entro un unico spazio. Quanto non può essere combinato
razionalmente, può tuttavia relazionarsi fuori e dentro uno spazio
immaginario. Configurazioni impensabili, rese possibili tramite le installazioni,
rimandano a punti di vista altrimenti difficilmente riconoscibili od osservabili.
Si manifesta una costellazione che permette a nuove idee di irrompere. Questi
momenti che si intersecano sono particolarmente fragili. Quando una risonanza
accade, ci accorgiamo che i punti di referenza sono stato posti con successo
ed un nuovo linguaggio è nato" .
Successivamente, nell' autunno del 1986, Gehr mostra un'installazione di
sculture astratte, composte quasi tutte con materiale vitreo. La questione
di base, intorno cui si raccoglie il suo lavoro, è qui il concetto
di "lavoro plastico". La scultura si trasforma da concetto di
solidità del materiale e costruzione creatrice e dominatrice di spazio,
in un'entità fragile, volta a sottrarsi alla percezione univoca.
Le sculture, infatti, sono costituite per la maggior parte dei casi da elementi
primari definiti, la cui successione lascia percepire allo spettatore la
riflessione logica che sta alla base della scultura, la quale, tuttavia,
in ragione della sua dissolvenza nel vetro, può essere tenuta ferma
visivamente solo in modo molto approssimativo. Non da ultimo, traspare qui
l'interesse di Gehr per concetti quali la fragilità e la temporalità
dell' esistenza, temi esplicitamente elaborati nelle serie Three Ts (Tre
t), T. ; T.; e T/TOD (Morte).
Per la prima volta nella sua carriera, l'artista si relaziona miratamene
al vetro: un materiale che in uno scultore facilmente potrebbe suscitare
l'idea di immaterialità. Interessato non solo a questa contraddizione,
ma affascinato soprattutto dalla qualità rigida del materiale, Gehr
accoglie, per cosi dire, la sfida che esso per uno scultore può rappresentare.
Nel 1981 Max Wechsler osserva, come "Gehr nei suoi lavori invero non
parte da un' affermazione cui in un secondo momento viene dato corpo, bensì
crea le sue opere "dal vuoto". Questo vuoto è uno stato
di naturalezza, uno spazio di sensazione nel quale le contraddizioni sono
certamente presenti, ma tuttavia entro una situazione di compresenza equivalente".
In una nuova fase del suo lavoro col vetro l' artista si ripropone di rappresentare
la sostanza del "vuoto" in sé. Opere quali Senza titolo
(1993), Senza titolo (1993), Frame of mind (Disposizione d'animo, 1995)
e Changing mind (Cambiando idea, 1995) manifestano quest' intenzione. In
Frame of mind la cornice vitrea declina quasi impercettibilmente verso il
centro. L'immagine riflessa dell'osservatore è di conseguenza leggermente
distorta - qualcosa si è spostato. In Changing mind appare lo stesso
fenomeno, ma applicato diversamente: in questo caso il vuoto è rappresentato
dal cerchio, che innesca nello spettatore una sorta di attivazione. Queste
"sculture in sé" rappresentano uno stato (état)
piuttosto che non lo spirito (esprit).
Untitled (Senza titolo, 1996) segna il passaggio dai lavori incentrati sul
tema "vuoto" alle più recenti "opere linguistiche".
Una "camera di vetro" bianca racchiude una lastra di vetro e viene
sorretta da entrambe i lati da una lastra di vetro bruno scuro di lunghezza
maggiore.
Com'è noto, nella scrittura l'interpunzione è impiegata in
funzione dell'articolazione e comprensibilità del testo. Nell'opera
sopra citata è chiaramente visibile la sua importanza. La "parentesi",
tuttavia, resta aperta, manca la frase qualificante o la parola che richiede
spiegazione, di modo che siamo confrontati con uno spazio che rimane, semplicemente,
"aperto". Con il suo ultimo lavoro, Raw material (1999), Gehr
vuole confrontarci audacemente con i rudimenti delle sue parole illeggibili.
Ventisette scatole metalliche contengono ciascuna la pila di una lettera
dell'alfabeto greco (all'intero alfabeto è aggiunta la "Umlaut"
[ ¨ ], l'unico
accento della lingua tedesca). Ogni pila di lettere di vetro permane sorprendentemente
stabile e presenta una superficie riflettente che conferisce all'insieme
un effetto sostanziale. Se si volesse tuttavia afferrare una lettera della
pila, la lettera tenderebbe a sparire, e la nostra iniziale percezione di
materialità si tramuterebbe nel suo opposto. Andreas Gehr non ci
nasconde nulla. Al contrario: di proposito ci fornisce il "materiale
grezzo" e, con esso, l'apertura e posizione della questione; l'artista
non ci offre, forse, con il suo "deposito di lettere", tutto l'insieme
delle possibilità di disintegrazione e ricostruzione del linguaggio?
Sandra Smith
1 Jean-Christophe Ammann, Andreas Gehr : Zur Austellung. Lucerne: Kunstmuseum
Lucerne, 1975.
2 Andreas Gehr, dans: Marcie Lawrence éd., Artists with their works.
Toronto: Art Gallery of Ontario, 1986.
3 Max Wechsler, Andreas Gehr, Kunstverin St. Galien, dans: ArtForum, New
York City, vol. XXVI, n° 9, mai 1988, page 158.
4 Max Wechsler, Das Künstlerportrat Andreas Gehr, dans: Vaterland,
Lucerne, 10.01.1981.