IL MANUALE IMPROBABILE
DI STORIA DELL'ARTE

LAGGIU' NEL MONTANA…

Dopo aver piacevolmente trascorso gli ultimi mesi assieme agli artisti russi, mi sono chiesta se anche i loro antipodi avrebbero offerto altrettanti spunti di irriflessione. Naturalmente l’antipode di un artista non ha attinenza con la geografia ma con l’ “ideologia”, così per proseguire la mia indagine mi sono rivolta all’arte degli Stati Uniti.
Ma qual è l’arte americana per antonomasia, la Pop? Nop!
La Pop Art è troppo addomesticata, sono cresciuta con i western politicamente scorretti e quando penso all’America vedo l’Ovest selvaggio, le grandi praterie, lande sconfinate… esatto, Land Art!
Devo ammettere che questo movimento artistico e tellurico, non mi aveva mai interessato più di tanto, finché un bel giorno ho incontrato Michael Heizer nel 1970Heizer e da allora non ho più smesso di raccogliere informazioni su di lui e sui suoi amici ecologicamente disastrosi.
Heizer è stato il più puro esponente di questo tipo di arte, almeno finché non ha ceduto alle minacce del cemento armato e ha costruito una buca da suggeritore nel deserto.
Prima di diventare così edificante, aveva preso letteralmente alla lettera il nome del movimento. Suppongo che abbia detto a se stesso: se si chiama Land Art, occupiamoci di land!
Infatti mentre gli altri land-artisti usavano qualunque cosa per realizzare le loro opere (sassi, paletti, tende, cocci di vetro, gesso, colla, pane ammuffito…) Heizer usava terra, né più né meno.
Di solito meno, nel senso che aveva la passione per la sottrazione: ovvero buchi, scavi e solchi.
Da principio Heizer è molto tranquillo, non lascia sospettare l’evolversi di una mente così determinata e bizzarra. Dovete sapere che Michael è figlio di un noto archeologo, studioso delle tribù di Nativi Americani, apparentemente decide di non seguire le orme paterne e comincia la sua carriera artistica come normale pittore.
Normale si fa per dire, intendo uno di quegli anacronistici personaggi che dipingono su tele con strumenti antiquati come i pennelli.
Il giovane Heizer non impiega molto tempo per trovare la sua strada, anzi direi che ha preso un bulldozer e se l’è spianata per conto suo.
A 23 anni ha cominciato ad affittare terreni nel deserto per scavare buchi.
E’ questo genere di cose che mi incuriosisce.
Immagino la faccia di Heizer senior, quando il rampollo gli dice che noleggia moto da corsa professionali per scarabocchiare il deserto.
Ma se fosse tutto qui non ci sarebbe da meravigliarsi eccessivamente, ai giovani piace il motocross, diciamo che Michael era il precursore di una versione terra-terra di questo sport solitamente pieno di dislivelli. Dopo questa partenza rombante non si ferma alla superficie e comincia a scavare… qui nasce la leggenda.
Heizer è un tipo deciso, determinato, un vero figlio delle frontiera e vuole vedere cosa c’è di bello sotto la sabbia, ma non ha intenzione di passare dieci anni a sbadilare, ha bisogno di mezzi, così si rivolge a chi i mezzi ce li ha. Va dal collezionista Robert Scull e lo convince a finanziare una serie di crateri (nove per la precisione) nel deserto del Nevada.
Io non discuto l’efficacia dell’operazione, le foto sono bellissime. Si vedono gli zigzag di Heizer profondi tre metri, scavati sulla superficie arida del Massacre Dry Lake. Mi chiedo se il lago ha ricevuto questo nome dopo l’intervento di Heizer… no, sarebbe stato Massacred Dry Lake!
Al di là del valore estetico, poetico, filosofico e artistico, una cosa mi rimane oscura e la vorrei tanto capire: come ha fatto Heizer a convincere Scull a sgangiare quel congruo quantitativo di $$$ per fare buchi profondi tre metri in mezzo al nulla? Io che non riesco mai a convincere nessuno a fare cose relativamente ragionevoli!
Non c’è che dire, Heizer può piacere o non piacere, ma la sua forza di persuasione è indiscutibile. Questa capacità di comunicare agli altri la convinzione della validità del proprio lavoro, è una caratteristica che ricorre in molti grandi artisti. Pare che anche Leonardo da Vinci possedesse questo potere.
Pure lui non era un tipo tranquillo, progettava diecimila cose contemporaneamente, con particolare predilezione per le imprese straordinarie. Ad esempio aveva deciso che il Battistero di Firenze era troppo basso e gli voleva mettere sotto un po’ di scalini, tanto per vedere cosa succedeva. Vasari dice che Leonardo sottoponeva questo progetto “più volte a molti cittadini ingegnosi che allora governavano Fiorenza…” e riferisce che era così convincente da fare sembrare possibile la cosa, anche se “ciascuno poi che e’ si era partito, conoscesse per se medesimo, la mpossibilità di tanta impresa”.
Trovo che Leonardo sia una eterna fonte di meraviglie, più lo si frequenta più diventa mitico. Lo immagino bello e elegante (sempre stando al Vasari) che va alla Sopraintendenza di Belle Arti con i suoi irresistibili disegni, ipnotizza l’architetto di turno con le pupille a spirale cantando “ssspera in me… sssolo in me…” finchè quello non si convince che è assolutamente imprescindibile scalinare il Battistero, anzi si domanda come mai la Signoria abbia atteso cotanti lustri per porre rimedio a siffatta manchevolezza.
Quando Leonardo esce dall’ufficio la fascinazione svanisce, e l’architetto si sveglia come da un sogno.

Anche io ho avuto il piacere di conoscere alcuni artisti che possiedono questa dote e ho cercato di studiarla attentamente. Non si tratta necessariamente di artisti celebri, la costante di queste persone è una convinzione ferma, pacata e senza imposizioni. Non è un’ostinazione che si oppone alle osservazioni e alle critiche rifiutandole, al contrario è un’energia fluida come un oceano che tutto accoglie restando se stesso.
Qualche anno fa ho conosciuto una ragazza francese che per me resterà esemplare. Una persona tranquilla, quasi anonima, parla a voce bassa, non cerca di farsi notare, né con l’aspetto né con i modi. Se non le avessi parlato non avrei potuto riconoscere la forza che manifestava con le sue parole. Abbiamo guardato le foto dei suoi lavori, mi ha parlato dei suoi progetti con un coinvolgimento totale e naturale, una sicurezza che non era pesante e costruita ma nasceva dallo scambio reciproco di energia tra lei e le sue opere.
Se una ragazza così giovane riusciva a valorizzare tanto bene il proprio lavoro figuriamoci Leonardo… e Heizer!
Ma torniamo al giovane scavatore impegnato a disastrare il povero Massacre Lake in Nevada. In questa operazione Heizer non è solo, accanto a lui a combinare danni c’è un altro artista, Robert Smithson. Pare infatti che all’epoca ci fosse un’epidemia di sterramento acuto, tutti i promettenti esponenti della gioventù artistica se non sforacchiavano i landscapes americani non si sentivano realizzati.
Lo fa anche Denis Oppenheim Oppenheim, Negative Board (1968)ma dispiace doverlo sottolineare, con molta minore efficacia. Nel 1968, mentre Heizer sposta tonnellate di terra, Oppenheim realizza il suo Negative Board. Io lo trovo di uno sconcertante candore, non solo perché è un’opera ottenuta scavando nella neve, ma anche per la documentazione a mio avviso poco attendibile.
E’ evidente che per questo tipo di arte la documentazione è essenziale. Se Oppenheim fa dei Negative Boards e non li fotografa, più che come artista può essere ricordato come spazzaneve. Quindi giustamente scatta delle foto, le attacca sulla mappa del ghiacciaio nel Maine dove ha spalato, completa con le misure e firma il tutto. Ed è qui che nascono le mie perplessità.
Mi sembra ovvio che se Oppenheim va praticamente al Polo per scavare la neve, tutti si aspettano che la buca sia per lo meno eclatante, se no poteva aspettare Dicembre e trasformare il giardino di casa in un capolavoro. E’ altrettanto ovvio che Oppenheim al Polo ci va più o meno da solo… testimoni non ce n’è… quindi incombe la “sindrome del pescatore”, che si manifesta quando presa un’aringa si racconta agli amici di aver pescato lo Squalo 1, 2 e 3.
Il testo asserisce che lo scavo è profondo 91 centimetri, e c’è la foto di Oppenheim che scava lo scavo. Almeno credo che sia lui, da quello che si vede potrebbe anche essere Hannibal the Cannibal che occulta un cadavere, o parti di esso.
Comunque io sono una fedele seguace e allieva di Leonardo e ho ricordato una cosa che dice sempre:
“Non vi fidate degli altori!”
Nonostante la mia venerazione, devo riconoscere che quando parla Leonardo non è sempre facile da decifrare e spesso bisogna andare ad intuito. A dimostrazione c’è una nota di Leonardo che riporto testualmente:
“La ciecha ignoranza chosì ci chonduce
e chon effetto de lasscivi sollazzi
per non chonossciere la vera luce…”
E lui si definiva “omo senza lettere”? Io direi che di lettere ne ha anche troppe, solo di h c’è una notevole inflazione, per non parlare delle s…
Ma quando vuole Leo si fa capire benissimo, come quando scrive nel Trattato della Pittura:
“Pericoli della teoria: O pictore natomista, guarda che la troppo notizia delli ossi, corde e muscoli non sieno causa di farti un pictore legnoso col volere che li tua ignudi mostrino tutti i sentimenti loro.”
Della serie: ogni riferimento a fatti realmente accaduti o a persone esistite è puramente casuale, specialmente se si chiamano Michelangelo!
Pare che Leonardo si sia divertito alle sue spalle, anche quando scrive la celebre comparazione tra scultore e pittore:
“Lo scultore lavora con esercizio meccanicissimo, accompagnato spesse volte da gran sudore composto di polvere e convertito in fango…”
Fa un ritratto così paludoso che sembra di vedere il povero Buonarroti trasformato nella Cosa dei Fantastici Quattro.
Comunque per tornare alla prima sentenza di Leonardo, io non so chi siano questi Altori, così ho deciso di non fidarmi di Oppenheim (magari è un parente…) e ho adottato il metodo empirico grazie alla spontanea collaborazione di mio marito. Gli ho esposto il problema, gli ho chiesto di portarmi nel Maine e scavare nella neve un solco profondo 91 centimetri, così avrei potuto verificare la veridicità della foto di Oppenheim.
Mi ha fatto notare che è sufficiente misurare la lunghezza delle gambe dal piede al ginocchio senza attraversare l’oceano. Ho dovuto riconoscere che il ragionamento ha una sua logica, e visto che non era più necessario andare nel Maine poteva portarmi a Parigi, ma lui ha detto che ha Parigi non c’è la neve…
In sintesi, per tornare alla foto di Oppenheim, essendo mio marito alto m 1,85 e misurando dal tallone al ginocchio cm 55, ne consegue che se uno scavo di cm 91 arriva al ginocchio di Oppenheim, costui è Gargantua.

Heizer, Double Negative (1969-70)


Ma se Gargantua scava un Negative Board, Heizer non può certo stare a guardare col badile in mano, così nel 1969 raddoppia con il celeberrimo Double Negative.
Per creare quest’opera Heizer ha mobilitato un team di bulldozer e ha spostato 24.000 tonnellate di terra, allo scopo di creare due solchi inclinati profondi 15 metri ai lati di un canyon in Nevada.
La foto è fantastica, ci si aspetta di vedere Bip Bip che compare in un lampo e Willy Coyote che cade dallo strapiombo e si sfracella come al solito. Anche questo lavoro aveva un finanziatore, la signora Virginia Dwan, citata come mercante di Heizer. Pare che l’opera sia costata 10.000 dollari, ma Mrs. Dwan non l’ha tenuta per se e l’ha generosamente donata al Museo d’Arte Contemporanea di Los Angeles. Mi chiedo che faccia ha fatto il Museo quando si è visto omaggiare 24.000 tonnellate di terra che Virginia non sapeva dove mettere…
D’altronde come biasimarla? Heizer doveva essere irresistibile, non solo trovava finanziatori per i suoi bislacchi progetti talpeschi ma ispirava anche poetiche realizzazioni di giovani land-artiste dal kuore tenero, come ad esempio Nancy Holt.
Nancy ha attuato un progetto dal titolo chilometrico che in sintesi si può riassumere così: poesia nascosta per Michael.
Per la verità ha replicato la stessa opera anche per Leider, Andre, Perrault e Smithson, scegliendo per ogni artista un sito che avesse attinenza con quella particolare persona. La poesia per Heizer è nascosta nell’ Arches National Park (Utah) nei pressi di una roccia chiamata Dark Angel… il che è tutto dire.
Però secondo me non è questo il modo giusto per conquistare Heizer. Voglio dire, lei gli ha fornito la mappa con le indicazioni per trovare il poema sepolto, e io lo immagino con un caterpillar che rade al suolo tutto il parco nazionale per cercare il fogliettino. Per fare colpo Nancy gli avrebbe dovuto regalare un martello pneumatico, non una composizione poetica! E lui le avrebbe detto: “Ti va di salire da me a vedere la mia collezione di caterpillar?”
Poi se son cactus fioriranno.
Ma il personaggio di Heizer possiede quel fascino che gli altri land artisti non hanno, perché per quanto minimali le loro opere risultano sempre costruite.
Prendiamo Smithson. Il suo Spiral Jetty è bellissimo ma molto formale, è una scultura fatta di materiali presenti sul luogo ma è sempre una scultura, un’addizione, una cosa studiata per essere oggetto. A mio avviso la cosa più poetica dello Spiral Jetty è che viene sommerso dall’acqua del lago e riemerge solo periodicamente. Questa mi sembra l’idea migliore di Smithson, scegliere un luogo in cui le acque si richiudono sul lavoro per svelarlo successivamente come un’Atlantide ritrovata. Comunque Smithson non è sempre stato così delicato. Solitamente scaricava camionate di schifezze su colline indifese. La sua versatilità lo porta a spaziare nella scelta dei materiali (colla, asfalto…) tuttavia mostra una spiccata predilezione per i cocci di vetro. Li adora, vorrebbe ricoprire tutto di vetri rotti, infatti nel 1970 propose di scaricare due tonnellate di cocci su uno scoglio vicino a Vancouver e si meravigliò molto quando gli ecologisti invece di ringraziarlo si opposero, sostenendo che la cosa avrebbe danneggiato uccelli e foche.
Sconcertato da una tale mancanza di sensibilità, Smithson decide di ritirarsi in galleria creando una serie di opere come Chalk and Mirror Displacement, dove i pezzi di gesso rappresentano la terra e gli specchi prendono il posto dell’acqua come nel presepio.
Anche l’altro grande land artista, Walter De Maria, mi sembra troppo categorico quando pianta paletti, ma c’è una sua opera che mi ha entusiasmato.
Si intitola Vertical Earth Kilometer, nella foto si vede un quadrato di terra su terra (citazione da Malevic) e al centro c’è un tondino grigio. Ho visto questa foto su un libro americano e non riuscivo a capire perché le dimensioni riportate fossero: 1 km. Sulle prime ho pensato che il quadrato di terra avesse il lato di 1 chilometro, ma in quel caso sarebbe stato più logico chiamarlo Squared Earth Kilometer. Inoltre nella foto compaiono piccoli sassi che usati come termine di paragone evidenziano chiaramente le dimensioni ridotte della superficie fotografata..
Dopo aver rimuginato un po’ ho letto la didascalia e svelato il mistero: De Maria ha sepolto una barra di metallo lunga un chilometro verticalmente nel terreno!
Hanno impiegato 79 giorni per scavare la buca e il risultato di tutto questo lavoro è un circoletto di ferro di 5 cm di diametro.
Qui De Maria a mio giudizio inciampa per eccesso di serietà. Questo lavoro si trova a Kassel, è stato realizzato nel 1977 in occasione di Documenta, quindi è ampiamente documentato, tutti hanno visto le trivelle e non ci sono dubbi sull’interramento chilometrico.
Ma se avesse scelto un sito desolato, il fascino dell’opera sarebbe indissolubilmente legato alla curiosità di scoprire se l’opera è reale o un fantastico inganno, una storia lunga un kilometro creata da De Maria per velare di incertezza la realtà, lasciando irrisolta la domanda: è vero quello che dice o è vero solo quello che si vede?

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