I LIKE BEUYS... BUT BEUYS LIKES ME?
Era da un po’ che volevo parlare di Beuys ma esitavo perché non avevo mai
capito come si pronuncia esattamente.
Lo so che qui si scrive soltanto ma nella vita bisogna prepararsi per ogni
evenienza. Magari dopo aver scritto un papiro dove faccio il fenomeno, mi
telefona il suo avvocato per citarmi in giudizio e io non so nemmeno come
si dice Beuys, che figura orrenda!
Così ho dovuto aspettare e tacere a malincuore. Per fortuna abbiamo conosciuto
uno studente di Berlino che dopo circa venti minuti di faticosi tentativi
è riuscito a farmi pronunciare “Joseph Beuys” in modo decente, ora sono
pronta per rispondere all’accusa di vilipendio postumo e per scrivere la
mia strabiliante opinione su questo personaggio.
Devo premettere che a me Beuys non è mai piaciuto. Non sento nessuna comunicazione
di qualsiasi tipo provenire dal suo lavoro, neanche un segnale remoto come
un quasar. Non me ne frega nulla dei pianoforti ricoperti di feltro, delle
pompe al miele, delle lepri morte e delle lampadine al limone.
Piantare gli alberi mi sembra già un’idea migliore, però non venite a raccontarmi
che ci voleva Beuys perché non ci credo, e dire che credo anche ai vampiri.
Pare che Beuys avesse un grande carisma personale, anche se a mio avviso
dalle foto non passa. Di foto sue ne ho viste tante ma non ho mai subito
il suo fascino. E’ chiaro che la bellezza non c’entra col carisma, sono
cose molto diverse.
Ad esempio ho in mente una foto di Baudelaire scattata da Nadar, ha due
occhi magnetici, calamite sfavillanti che mandano lampi al magnesio.
Oppure penso alle foto di Gauguin, al suo sguardo da corsaro. O per dirne
uno che non mi piace: Picasso nelle foto emana un carisma e una forza gelida
innegabili, anche per chi come me non lo ama particolarmente.
In Beuys non sono mai riuscita a trovare traccia di fascino. Ho guardato
un miliardo di foto, ho letto varie cose tra cui il libro di una signora
che lo ha venerato, e aveva per lui aggettivi riservati solitamente agli
zar. Ho riguardato le foto e ho visto quello che vedevo prima: un signore
molto alto e molto tedesco con lo sguardo stralunato.
Però nella mia indagine beuysiana ho scoperto che ha fatto una cosa fantastica,
una di quelle follie che piacciono a me.
Non so se lo sapete (spero di no perché tanto ve lo racconto lo stesso)
ma Beuys evitò a lungo di andare in America a causa del coinvolgimento militare
degli USA in Vietnam.
Si recò a New York per la prima volta nel 1974 e presentò una delle sue
actions, secondo me la più straordinaria.
Il titolo dell’action è: “Coyote. I like America and America likes me”
Già il titolo mi pare una notevole captatio benevolentiæ, ma non divaghiamo.
L’action si svolgeva in questo modo.
Beuys parte da Dusseldorf per New York. Si fa trasportare all’aeroporto
avvolto in una coperta di feltro, fa il volo infeltrito, atterra a New York
e viene direttamente consegnato alla galleria René Block.
Qui trova ad aspettarlo un coyote.
Vivo.
Beuys si fa chiudere assieme al coyote nella galleria vuota e resta solo
con lui.
All’inizio il coyote è comprensibilmente nervoso. Beuys si protegge solo
con la coperta ed un bastone. Col trascorrere del tempo il coyote si abitua
alla presenza di Beuys, che invece di starsene zitto e quieto in un angolo
legge ogni giorno il Wall Street Journal alla povera bestia.
Guardate che non sto inventando niente, ma c’è di più. Grazie a questa action
di Beuys possiamo assistere in prima persona alla nascita di una leggenda.
Infatti io per ora ho letto la descrizione del lavoro di Beuys da tre diverse
fonti e nessun testo riporta la notizia nello stesso modo.
Il primo diceva che l’action era durata tre giorni, il secondo una settimana
e il terzo addirittura un mese (se qualcuno è interessato posso citare le
fonti). Cambiavano anche i tempi di avvolgimento nella coperta.
La signora Rekow dice che probabilmente Beuys ha utilizzato il coyote come
simbolo dell’anima nativa dell’America. Ma allora era meglio un bisonte!
Certo che leggere il Wall Street Journal a un bisonte può risultare leggermente
stressante. Immagino che il bisonte sia stato escluso anche per motivi pratici,
dopo tre ore sarebbe stato impossibile distinguere Beuys dalla sua coperta
di feltro.
Ma la vera notizia non è questa.
Dovete sapere che tra le altre cose conosco perfettamente il coyotese. Ed
è grazie a questa mia conoscenza linguistica che posso rivelarvi la verità:
non è Beuys che ha preso un coyote per la sua action in galleria.
E’ Coyote che ha preso un beuys e l’ha fatto trasportare in aereo dalla
lontana Dusseldorf. Poiché
i beuys sono notoriamente feroci, per precauzione l’ha fatto avvolgere in
una coperta di feltro e l’ha fatto recapitare nella sua galleria di New
York.
All’inizio il beuys era un po’ nervoso ma Coyote lo ha gradualmente tranquillizzato
fino al punto che il beuys germanico si è sentito tanto a suo agio da leggere
il Wall Street Journal come se niente fosse.
Coyote ha scelto un beuys umano per simboleggiare l’incontro con una specie
particolarmente disastrosa.
Guardate che non sto inventando niente, non è mica colpa mia se non conoscete
il coyotese.
Ah, dimenticavo, ho visto anche le foto del Coyote. Aveva un grande carisma
e occhi da prateria.