MARCEL DUCHAMP, QUESTO SCATENATO
ovvero: dimostrazione di come il capolavoro di Duchamp non sia il Grande
vetro ma un rotolo di spago.
Mi pare superfluo perdere tempo ad introdurre questo grande artista.
Chi non conosce Duchamp?
Io ne conoscevo addirittura due: quello del Nu descendant un escalier e
quello dei ready-made.
Voglio dire, sapevo che il nudo che scende le scale è di Duchamp e che l’orinatoio
è di Duchamp, però non mi era riuscita la connessione tra Duchamp e Duchamp.
Mi è successa la stessa cosa anche con Magritte, non ero mai riuscita ad
identificare il pittore dell’Impero della luce con il suo omonimo di Ceci
n’est pas une pipe (opera cara ai concettuali e per niente cancerogena).
E’ come se i due Magritte occupassero nel mio cervello neuroni adiacenti
ma senza il collegamento di mezza sinapsi.
Curioso vero?
Ma questo è solo l’inizio.
Vogliamo parlare dell’aspetto fisico di Duchamp?
E parliamone!
Per me non era tanto carino (era meglio Max Ernst) però c’è una foto del
1921 nella quale Duchamp è bellissimo… pardon, bellissima nel suo fantastico
pseudonimo Rrose Sélavy, una femme fatale trés chic. D’altronde
se mi fotografava Man Ray forse venivo bene anche io, quindi archiviamo
le considerazioni sul suo aspetto estetico e passiamo alle considerazioni
sull’estetica.
Tutti dicono che il Grande vetro è il capolavoro di Duchamp.
Io ovviamente non sono d’accordo: è uno splendido lavoro, formalmente corretto,
innovativo, pensato e sentito. Ha tutto quello che serve ad un’opera d’arte
e ad un’opus alchemica, perfino la rottura accidentale durante il trasporto
in camion e giustamente accettata da Duchamp.
Però secondo me è un lavoro troppo costruito.
Storici e critici si sono fatti abbagliare da tutto l’apparato, si sono
scervellati per una spiegazione che Duchamp si è ben guardato dal fornire,
anzi ha aggiunto enigma al dilemma con le Notes and Project for the Large
Glass. Tutti quei nomi, il gendarme, la mariée, le nuvole col quadrato,
la macinatrice per la cioccolata, il cameriere…
I critici si sono fatti dei viaggi allucinanti, uno per spiegare il titolo
(La mariée mise a nu par ses célibataires, même) ha trasformato “célibataires”
in céli-batteurs che starebbe a significare “battitori del cielo” in quanto
céli andrebbe letto come cielo, non ho capito in base a quale scardinata
etimologia.
Cielo in francese sarebbe ciel e le lettere non si possono mica mescolare
come un mazzo di carte da briscola, caro il mio critico. O no?
Però devo riconoscere che un tipastro come Duchamp ti trascina in queste
avventure lessicali, è una pessima compagnia verbale coN i suoi giochi d’azzardo
di parole.
Comunque con tutto il rispetto per il Grande vetro, per me il vero capolavoro
di Duchamp è un gomitolo di spago.
Io non sapevo che avesse fatto una cosa del genere, è proprio un normale
rotolo di spago da imballaggio chiuso tra due placche di rame fermate da
quattro bulloni agli angoli.
Il titolo è “Con rumore segreto” e per una volta corrisponde ad una semplice
realtà, infatti Duchamp chiese a Walter Conrad Arensberg di inserire un
oggetto nel gomitolo; Arensberg lo fece e poiché l’oggetto faceva rumore
diedero questo titolo all’opera. Arensberg non disse mai a Duchamp cos’era
l’oggetto, né lui lo volle sapere: l’ha imbullonato ed è uscito felice come
un fringuello ad escogitare cogitazioni mentre raccattava zavagli vicino
ai cassonetti del rusco e li chiamava ready-made.
Dico che il gomitolo è il suo capolavoro perché è di una semplicità estrema
e di una completa complessità.
Il Grande vetro è solo complicato, è molto diverso.
Il gomitolo di spago è un mistero, un segreto, una tentazione irrisolvibile.
Non è chiuso in una teca, c’è il capo del filo che esce e si arrotola con
grazia attorno ad uno dei bulloni, come la coda di un gatto attorno alle
zampe quando si siede e ti guarda.
Teoricamente basta tirare il capo del filo e srotolare il gomitolo (ovviamente
dopo aver sborsato un paio di valigie di miliardi) perché è questo che richiede,
di essere srotolato per svelare il suo segreto, ma se lo srotoli l’opera
non c’è più e il tuo commercialista ti strangola.
Allora Manzoni con le sue scatolette non è che un misero epigono e già che
ci sono anche un poligono (ma visto che sono generosa facciamo un esagono…)
Qual è il senso della manzoniana “Merda d’artista” di fronte a “Con rumore
segreto”?
Se non fosse tautologico direi che è una cagata.
E’ prosaica, rozza, banale e pure ripetitiva, un atteggiamento infantile
come quando i bambini dicono oscenità per attirare l’attenzione degli adulti.
La merda d’artista non è nemmeno originale, l’idea della scatola svanisce
di fronte al gomitolo di Duchamp aperto eppure chiuso, col capo che esce
invitante e sembra dica: srotolami un po’ se hai coraggio…
L’opera nella sua semplicità rappresenta il vero mistero, non c’è una costruzione
caricata artificiosamente di significati sovrapposti, essa è consegnata
quale è.
Alla fine di tutto questo sproloquio la domanda è:
MARCEL COME HAI POTUTO FARMI QUESTO?!?
Io DEVO sapere cosa c’è nel gomitolo.
Qualche cortese lettore che ne fosse a conoscenza potrebbe spedirmi la mail
di Diabolik?
Note al Primo Capitolo.
1)Vorrei pregare tutti di non seguire il riprovevole esempio di mio marito
il quale, dopo aver subito… volevo dire: udito la mia brillante esposizione
ha continuato a sbucciare l’arancia invece di sbalordire esterrefatto di
fronte alla mia genialità e ha detto: “Il modo di sapere cos’è l’oggetto
è molto semplice, basta fargli i raggi X”.
Ma come si può essere così risolutivi e contemporaneamente così crudeli
da distruggere tutto il mio primo capitolo in zero secondi?
Ho deciso pertanto di ignorarlo e di accusare lui e chiunque altro lo approvi
di prosaicità galoppante.
Come se non bastasse ha rincarato dicendo: “Non è vero che ci vuole coraggio
a srotolare un gomitolo, ce ne vuole di più ad aprire una merda d’artista
dopo tanti anni…”
2)La frase incisa sulla lapide di Duchamp per sua volontà è:
“D’ailleurs, c’est toujours les autres qui meurent”
3)Non cercate i riferimenti alle note nel testo perché non c’è nessun numerino,
volevo solo provare l’ebbrezza della nota.
Per la prossima volta mi farò venire in mente qualcos’altro.