ARRIVANO I RUSSI!!!
Vorrei scusarmi con Malevic.
Ci sono tante cose da raccontare su di lui e io l’ho trascurato, l’ho messo
in un angolo come un controrilievo angolare di Tatlin. A mia discolpa posso
dire che ho avuto molti impegni: il tempo è tiranno. Per fortuna lo spazio
è democratico, così basta inserire una semplice equazione spazio-temporale
nel proprio continuum e si risolve tutto. E’ vero che lo spazio si riduce,
non c’è più posto nell’armadio e mi tocca di liofilizzare i vestiti, però
in compenso il tempo si dilata, un’ora dura 95 minuti e io posso dedicarmi
al mio amato Malevic.
- Bugiarda! E’ una scusa, non è vero che non hai scritto per mancanza di
tempo ma per carenza di incipit.
- Il problema è che frequentandoti ho conosciuto anche tutti i tuoi compari…
pardon compagni, così ho scoperto tante di quelle cose che non so da dove
cominciare.
Non avrei mai creduto che un freezer surgelato come la Russia avesse sfornato
un manipolo di artisti così scatenati. Pensavo che i russi fossero persone
serie, ma per quel breve periodo tra la rivoluzione e la dittatura di Stalin,
l’arte fu qualcosa di colorato ed esplosivo come una matrioska molotov.
Prendiamone uno a caso, visto che mi ha dato della bugiarda: Malevic. Mi
è davvero caro, più mi addentro nella steppa siberiana per seguirlo, più
scopro cose affascinanti su di lui.
Non che Malevic vivesse in Siberia, è solo una ambientazione per rendere
l’atmosfera più drammatica.
Veramente non ho capito bene dove viveva: a Pietroburgo o a Pietrogrado?
Mio marito sostiene che Pietroburgo è Pietrogrado e anche Stalingrado. Ma
sé! E Stalinburgo allora?
Comunque non sono qui per parlare di geografia, almeno spero, perché io
ho il senso di orientamento di un tubero, di solito quando sono in giro
e ci sono dubbi sulla direzione da prendere mi chiedono: “Da che parte dobbiamo
andare?”
Io lusingata da tanta fiducia nelle mie capacità, senza alcuna esitazione
indico: “Di là!”
E gli altri, sempre senza esitazione procedono dalla parte opposta. Se ero
Mosè il popolo eletto finiva in Groenlandia.
Come stavo dicendo… cosa stavo dicendo? Evidentemente il mio senso dell’orientamento
è così scarso che riesco a perdermi anche in un capitolo su internet.
Ma qui sono agevolata dalla funzione Ricerca e mi ritrovo abbastanza rapidamente:
stavo parlando di Malevic. Facile, in questo periodo parlo solo di Malevic!
L’altro giorno sono passati in studio due turisti australiani, lei guarda
i miei quadri e mi chiede: “Do you like Mirò?” E io: “Yes, but I prefere
Malevic”
Mi hanno guardato come se fossi un canguro ma non stavo scherzando, Malevic
è molto meno terrestre del previsto. Ad esempio qualche sprovveduto potrebbe
ritenere i quadrati di Malevic più legati alla realtà di un violinista volante,
e probabilmente Chagall la pensava proprio così quando se ne andò dalla
scuola di Vitebsk, in seguito all’arrivo del nostro eroe.
A proposito, Chagall si chiama Sagal con l’angolo sulla S ed è russo! Ho
sempre pensato che venisse direttamente dalla Luna,
ha anche il viso da alieno leggermente sconvolto dalle usanze terrestri.
Ritenevo che il motivo dell’abbandono della scuola di Vitebsk da parte di
Sagal, fosse stato l’arrivo di Malevic; invece pare che se ne sia andato
a causa della delusione procuratagli da El Lisitskij quando scelse di aderire
al Suprematismo.
Non so se lo avete presente, anche lui è russo ma dal nome io credevo che
fosse messicano, come Pedrito El Drito. Se devo essere sincera il lavoro
di El Lisitskij non mi dice molto, i quadri Proun non mi entusiasmano. Pensavo
a El come a un ragazzo con un certo gusto (visto che apprezzava Malevic)
ma poca fantasia.
Poi ho letto che nel ’23 ha fatto una cosa da standing ovation: la Tribuna
di Lenin. Detta così non sembra questo gran divertimento, anche io all’inizio
ho pensato: du’ palle… Ma sentite com’era poi ne riparliamo.
Come molti di voi sapranno, all’epoca gli artisti erano convinti sostenitori
del partito, impegnati nell’opera di propaganda. A questo scopo Rodcenko
e Lisitskij, progettarono strutture mobili per diffondere nelle immensità
sovietiche la nuova cultura comunista.
La Tribuna di Lenin era chiamata così perché in cima era allestito un fotomontaggio
di Lenin, e fin qui tutto regolare.
La cosa carina è che per descrivere questo aggeggio neanche l’autore del
libro che ho letto sa bene da che parte cominciare, e lo definisce “un congegno”.
Il suddetto congegno aveva la stessa pendenza del “Monumento alla III Internazionale”
di Tatlin, però era fatto a forma di traliccio. Non chiedetemi com’è un
traliccio pendente, io mi sto limitando a citare quasi testualmente ma pagherei
per vedere.
Al momento del discorso scattava una pedana superiore che portava l’oratore
al centro del pubblico; un ascensore elettrico trasportava gli oratori in
attesa a un’altra pedana collocata a mezza altezza, senza dimenticare la
presenza di uno schermo per le proiezioni notturne.
Se ci fosse stato ai miei tempi non mi sarei persa un comizio.
Sono senza parole, la mia ammirazione per El Lisitskij ha preso l’ascensore
ed è salita alla pedana superiore.
Passando tanto tempo assieme alle opere dei russi mi è venuta la russite
e la curiosità di conoscere anche il loro aspetto, così sono andata a cercare
le foto.
Vorrei davvero che le vedeste, io le ho trovate su un libro, non so se esistono
in rete. Suppongo di sì ma ci metterei un paio di generazioni a trovarle,
tra due generazioni mi sarò reincarnata in una betoniera palindrome e allora
del Suprematismo non me ne fregherà più un cordolo.
Certo potrei scannerizzare le foto del libro e inserirle ma in fondo mi
diverto di più a descriverle.
Il proverbio recita: un’immagine vale più di mille parole. Word mi segnala
che questo post contiene 897 parole, quindi sono in dirittura d’arrivo.
Oramai conosco l’aspetto di Malevic ma gli altri non li avevo mai visti
e mi ero creata un’immagine per ognuno di loro.
El Lisitskij con un nome così tagliente l’ho immaginato duro e spietato,
invece sembra un ragazzino con gli occhi sorpresi, un pulcino accanto all’aquila
Malevic. El fa tenerezza, ispira simpatia.
Tatlin invece mi è stato sulle scatole da subito. Ha un’aria snob, lo sguardo
gelido e la faccia da fighetto. Pensavo
fosse il classico figlio di papà, poi ho scoperto che sbagliavo alla grande.
In realtà a 10 anni si imbarcò come marinaio, mentre lustrava gli ottoni
studiava finché diventò architetto.
Questo mi ha fatto provare rispetto per lui: studiare e lavorare non è facile.
Ciò non toglie che mi sia rimasto antipatico, soprattutto a causa della
sua lite con il mio amato Malevic. Per essere precisi e fedeli alla cronaca
più che litigare i due si sono menati e devo dire che la cosa ha suscitato
la mia curiosità.
Spero sia chiaro che la mia non è curiosità fine a se stessa, al contrario
è molto importante capire perché due uomini come Tatlin e Malevic se menano.
Fossero stati Gauguin e Lautrec uno non ci fa neanche caso, ma se questi
due compagni si prendono a pugni per un quadro, allora quel quadro per loro
doveva essere davvero importante.
Comunque Tatlin, grazie alle sue realizzazioni irrealizzate, col tempo mi
è diventato un po’ più simpatico. Molti dei suoi lavori precedenti al Costruttivismo
sono distrutti, dei Rilievi e Controrilievi credo siano rimaste solo riproduzioni
fotografiche. Martin Chalk in anni recenti ne ha ricostruiti alcuni; non
so chi sia Chalk comunque un grazie alla sua dedizione.
Anche l’opera più importante di Tatlin (il monumento all’Internazionale)
non esiste.
Il progetto era bizzarro, l’avevo visto sui libri ma non sapevo che all’interno
della torre pendente ci fossero tre piani abitabili semoventi con le pareti
in vetro. Il primo doveva essere un cubo che ruotava su se stesso in un
anno; il secondo una piramide con rotazione in un mese e il terzo un cilindro,
con movimento di un giorno.
Dentro alla giostra ci sarebbero stati degli uffici. Immagino che a bloccare
la costruzione siano stati gli stessi impiegati, io avrei vomitato dopo
un secondo.
D’altra parte è normale che Tatlin abbia progettato una cosa del genere,
avendo studiato architettura su una nave.
Più che un monumento all’internazionale era un monumento al mal di mare.
Scherzo, povero Tatlin… sono davvero perfida. In realtà quando ho letto
la descrizione del monumento non ho pensato al mal di mare ma alla casa
della Baba Yaga.
La Baba Yaga è una strega, credo la strega russa per antonomasia; nella
fiabe si parla spesso di lei. Oltre al solito repertorio, la Baba Yaga ha
una particolarità che manca alle fattucchiere nostrane. Le streghe di casa
nostra di solito si limitano a costruire un castello nella radura in una
sola notte, incasinando allegramente piani regolatori e registri catastali.
Certo resta un’impresa notevole, un’impresa edile ci mette sei mesi solo
per degnarti della sua attenzione, però si tratta comunque di un castello
normale, con torri, pinnacoli e ammennicoli, un edificio conforme alle normative
vigenti.
La casa della Baba Yaga invece ha le zampe! Non ricordo la fiaba che riferisce
questa utile variante, però la trovo un’idea fantastica, la casa ruota su
se stessa e la strega può scegliersi il panorama preferito senza spostarsi
in un’altra stanza.
L’unica cosa che non ho capito è il motivo per cui la Baba Yaga ha scelto
di usare zampe di gallina. Forse saranno anche stabili ma certo non sono
molto eleganti.
Comunque ormai ho capito che i russi seguono una logica che mi sfugge, come
dimostra lo stesso Tatlin, ed è proprio per non smentirmi che la sua sfiga
non finisce mai.
Nel ’29 comincia a progettare il Letatlin, una macchina volante (dal verbo
let, volare + Tatlin). E qui supera se stesso, affermando che per la costruzione
del Letatlin si è ispirato alla struttura dei coleotteri. E lo scrive pure
ad imperitura memoria! I coleotteri più che volare fanno casino e vanno
regolarmente a capocciare contro i vetri… sarebbe come se Enzo Ferrari per
costruire le sue auto si fosse ispirato alla corsa dell’ippopotamo. Ovviamente
il Letatlin non volò mai ma in compenso Tatlin mi diventava sempre più simpatico.
Certo non avevo dimenticato la sua ostilità nei confronti di Malevic, poi
ho letto una cosa che la pittrice Udal’ cova, assistente di Malevic, scrive
nelle sue memorie : “Lui e Tatlin non erano mai diventati amici, ma quando
Malevic morì, Tatlin pianse.”
Ma come, il rude marinaio Tatlin… allora anche i costruttivisti piangono!
Tatlin sei perdonato e baci.
Malevic doveva avere un grande carisma personale che non proveniva dalla
bellezza ma dalla forza delle sue idee. Era una specie di ipnotizzatore,
quando vedi il suo quadrato sei già irretito e vuoi sapere sempre di più
sul lavoro e sulle idee di questo stregone. Così procedendo nelle letture
ho fatto alcune scoperte illuminanti: c’è un esubero di quadrati attorno
alla figura di Malevic.
Devo ammettere che non conoscevo molto la sua opera prima di restarne ammaliata.
Sapevo che era l’artefice del Quadrato in vari colori e pensavo che avesse
il copyright su questa simpatica figura geometrica. Ero convinta che avesse
dipinto il quadrato nero su fondo bianco, il quadrato bianco su fondo bianco
e il quadrato nero su fondo nero. Poi leggendo un testo esaustivo ed esauriente
(nel senso che faceva venire l’esaurimento per la lentezza) ho incontrato
un’affermazione curiosa. L’autore diceva che nell’ambito della mostra “Creazione
non oggettiva e suprematismo” del ’19, Malevic espose le opere “bianco su
bianco” e Rodcenko in risposta, presentò le pitture monocromatiche “nero
su nero”.
Mi sono chiesta: quindi il quadrato nero su fondo nero è di Rodcenko?
Il testo non era molto chiaro su questo punto (cosa peraltro comprensibile
visto il colore dell’argomento). Mi sono documentata e ho scoperto che è
proprio così. Pare che Rodcenko abbia escogitato questa trovata strabiliante,
per esprimere il suo intento polemico nei confronti di Malevic. Ritengo
che il suo intento fosse quello di sbeffeggiarlo.
Ma come si permette?!? e ancora?!?
Io non mi capacito di tanta tracotanza, anzi oserei dire stracotanza. Mi
fa talmente incavolare che non ho parole, passo direttamente ai fatti
SBAM!
Accidenti, stavo spolverando il costruttivismo e mi è sbadatamente caduto
sulla zucca di legno di Rodcenko. Dubito che ne risentirà, uno che considera
le esperienze pittoriche “inutili come una chiesa” mi sembra quantomeno
fuori luogo nelle citazioni, lui che era così attento alla produzione… e
cosa c’è di più produttivo di una chiesa?
Caro il mio Rodcenko, sono capaci tutti a cambiare colore ai quadrati e
sentirsi geni. Adesso ci riesco anche io a dipingere il quadrato pixel su
fondo laser, ma capisco che il primo è stato Malevic, ha estratto un quadrato
nero da un cilindro bianco e l’ha consegnato alla storia. Gli altri quadrati
sono declinazioni.
Rodcenko è perdonabile solo considerando le sue pessime frequentazioni:
era amico di Majakovskij.
E qui sono costretta a confessare la mia ignoranza. Scusate ma ogni tanto
la mia ignoranza ha queste crisi mistiche… dimmi figliola, quali peccati
hai commesso? Non conosci Majakovskij? Capirai, ce n’è di cose che non conosci…
comunque ego te absolvo, per penitenza imparerai a memoria tutte le poesie
di Majakovskij in russo.
Sì, devo ammettere che non lo conoscevo. Naturalmente l’avevo sentito nominare
ma pensavo fosse un parente di Stravinskij (con tutti quei nomi che finiscono
in –ij si fa presto a confondersi…) Poi ho letto questa frase di Majakovskij:
“Per la prima volta non dalla Francia, ma dalla Russia è volata la nuova
parola dell’arte, il Costruttivismo (…) Non il costruttivismo degli artisti,
che da begli e utili fili di ferro e da pezzi di latta traggono inutili
ordigni.”
Questo si chiama avere le idee chiare! Ho pensato: questo tizio è 1 genio.
Altro che merzbau, object trouvè e installazioni. Se era Majakovskij a decidere,
Mario Merz lo spediva in Siberia a coltivare iglù, così impara a consumare
tutte quelle belle e utili fascine di legno invece di portarle nella dacia
del compagno Popov per scaldare il samovar!
Le foto di Majakovskij non mancano, era un tipo accattivante, molto plateale,
ha fatto anche l’attore. Le sue foto più belle secondo me sono due, una
del 1909 e una del ’13. Nella prima è stratosferico, sembra un giovane Sid
Vicious con occhi oscuri e sigaretta tra le dita. In quell’anno era praticamente
abbonato alla galera, lo arrestavano per qualsiasi cosa, poi lo rilasciavano.
A luglio lo beccarono perché aveva favorito la fuga di tredici condannate
politiche dal carcere di Novinsk. Era pure romantico!
Nella foto del 1913 è sempre bello, ma completamente diverso, l’unica cosa
che non è cambiata è la sigaretta. In quell’anno organizza una tourneé futurista
nelle città russe assieme a Kamenskij e Burliuk, mi sa che si sono proprio
divertiti!
Majakovskij è elegantissimo, cilindro e guanti neri, sembra Rodolfo Valentino
con l’espressione del lupo che ha appena addocchiato Cappuccetto Russo.
Burliuk nella stessa circostanza sembra un salame.
Volodja ebbe una vita breve e intensa. Doveva essere vulcanico, un poeta
elettrico ed eclettico, un istrione sempre pronto ad esibirsi e a catturare
l’attenzione del pubblico.
Non era solo poeta, si occupò di cinema, teatro, pubblicità, giornalismo
e ovviamente politica. Scrisse testi teatrali, tra questi ce n’è uno che
si intitola “La cimice”. Per realizzare lo spettacolo lavorò assieme a Mejerchol’d
(direttore del laboratorio teatrale di Stato di Mosca) Rodcenko e Sostakovic.
C’è una foto che li ritrae tutti assieme, e in questo caso, purtroppo, Majakovskij
somiglia a Mr. Bean. Mejerchol’d è un incrocio tra Humprey Bogart e Tognazzi,
Sostakovic è uguale a Yves Saint Laurent da giovane e Rodcenko sembra lo
zio Fester della Famiglia Addams.
Insomma era un personaggio incredibile. Su Majakovskij poeta non mi pronuncio,
non sono in grado di giudicare la poesia. Le poche cose sue che ho letto
non mi piacciono per niente, però non ho approfondito. Posso solo dire che
la sua lettera d’addio è bellissima. E’ riuscito a ricordare il sorriso
nella tragedia. Non so come si possa scrivere una cosa tanto semplice, ironica
e lieve in un momento simile.
Per molti artisti russi quello è stato un momento difficile, dovuto alla
chiusura della nomenklatura russa nei confronti della libera espressione
artistica; non condusse soltanto Majakovskij al suicidio ma impedì la realizzazione
di molti progetti affascinanti.
Gli architetti in quel periodo erano particolarmente fantasiosi: Malevic
ideava planiti e architettoni, Rodcenko progettava facciate sospese su tralicci
sopra le città, Lisitskij proponeva un grattacielo orizzontale e lo chiamava
“Staffa nelle nuvole”. Il premio per l’idea più surreale va comunque consegnato
a Anton Lavinskij per il progetto “una città su molle”.
Purtroppo niente di tutto questo sarà mai realizzato. I libri dicono che
fu a causa delle difficoltà economiche, ma nello stesso periodo altri progetti
faraonici riguardanti un’architettura più tradizionale, erano stati finanziati.
Prendiamo come esempio la cattedrale di Cristo Salvatore. Questa cattedrale
stava tranquilla ed enorme seduta nella sua apposita piazza; l’ ASNOVA (Associazione
dei Nuovi Architetti) decide che il palazzo del Soviet deve essere realizzato
esattamente sopra la cattedrale. Ora, se c’è una cosa che non manca in Russia
è proprio lo spazio…
Così nel ’31 buttano giù la chiesa, nel ’33 Jofan vince il concorso per
il palazzo dei Soviet, con un progetto che definire orrendo è un complimento.
Appena finiscono di sgomberare le macerie cominciano a costruire, ma il
terreno cede sotto il peso della nuova costruzione. Così negli anni Cinquanta
le fondamenta vengono utilizzate per realizzare la più grande piscina all’aperto
del mondo. Un’idea quantomeno bizzarra, va bene che l’acqua era riscaldata
ma prima di uscire immagino che i bagnanti bevessero una vodka corretta
con antigelo. Nel ’93 la piscina fu chiusa e la chiesa ricostruita identica.
Penso che gli architetti dell’ASNOVA dovrebbero essere inseriti d’ufficio
tra gli esponenti dell’Indecisionismo, tendenza Tiramolla.
E non mi dite che è un nome stupido per uno stile artistico, ho letto che
un critico francese ha definito alcune opere di Malevic “cubo-futurismo
ammaccato”. Devo riconoscerne la genialità.
In quanto a definizioni anche Malevic non scherzava, c’è un suo disegno
per il Bauhaus che raffigura un rettangolo nero e lui l’ha intitolato “Quadrato
allungato suprematista”.
Kazimir, un rettangolo è un rettangolo!
Naturalmente ha ragione lui, il mio era solo un tentativo per destare il
suo interesse.
Era ossessionato dal quadrato, quando lo dipinse non mangiò né dormì per
una settimana. Questo dimostra (se ce ne fosse bisogno) la sua consapevolezza.
Malevic pagò a caro prezzo la sua determinazione nel volere seguire la propria
ricerca artistica senza piegarsi alle pressioni esterne. Non solo perse
il lavoro e lo stipendio, ma nel 1930 venne arrestato in seguito alle accuse
del direttore del museo di Kiev, sostenitore del realismo socialista.
Accuse di che? Detenzione abusiva di quadrati?
Il Quadrato era per Malevic un impegno totale, non un pretesto espressivo.
La bellezza di questa icona è nella sua semplicità profonda, un significato
che coincide perfettamente con la forma. Io ci metto un po’ a capire le
cose, e non riuscivo ad afferrare il motivo della fascinazione che mi legava
a quest’opera. Mi dicevo: come è possibile, io dipingo arzigogoli, che c’entra
il Quadrato? Poi ho letto che per Malevic, la realtà consiste in forze energetiche
che si attraggono a vicenda; lui considerava dovere dell’artista visualizzare
questa realtà invisibile, il “mondo della non-oggettività”… e in questo
non-luogo ci siamo incontrati.
Ma diversamente da me lui ha fatto un colpo da maestro, ha formalizzato
la sintesi.
Nel ’27 era a Berlino, teneva una sua personale nella capitale tedesca ma
fu costretto a partire improvvisamente perché richiamato. Si rendeva conto
di quello che sarebbe potuto accadere in Russia, tanto è vero che lasciò
le opere e un testamento in cui chiedeva “in caso di morte o prigione a
vita”, a chi volesse pubblicare i suoi manoscritti, di studiarli prima di
farne la traduzione.
Non so perché Malevic rientrò in Russia, forse la famiglia era in patria,
comunque non poté più proseguire con le sue ricerche.
Facciamo un po’ di fanta-arte?
E’ arcinota l’importanza di Duchamp nell’evoluzione dell’arte contemporanea.
Le sue idee, riprese dagli artisti americani, hanno influenzato lo sviluppo
dell’arte occidentale.
Mi chiedo… con tutto l’affetto per Duchamp… cosa sarebbe accaduto se Malevic
non fosse rientrato in Russia ma fosse partito per l’America? Come sarebbe
l’arte oggi se lui avesse avuto la possibilità di diffondere le sue idee
e approfondire le teorie?
Forse l’arte sarebbe diversa, più profonda e coraggiosa. Il Quadrato di
Malevic non è una novitas, è una strada aperta.
Penso che farò un giretto su questa strada, tanto per vedere dove riesco
a perdermi stavolta.
A Malevic,
maestro.