MALEVIC
Sono
costretta mio malgrado a fare una premessa necessaria.
Voglio precisare, io adoro premesse, parentesi, postille, paragrafi, postscriptum
e pure proclami (per amore di allitterazione) ma in questo caso la premessa
è dolente.
Mi devo scusare ufficialmente con Malevic perché non potrò scrivere correttamente
il suo nome, e la cosa mi affligge. Non pretendo di scrivere Malevic in
cirillico, Fidia in greco o Nakata in giapponese (lo so che Nakata non è
un artista, almeno non al livello di Baggio) però sulla c di Malevic ci
sarebbe un grazioso angolino. Non so assolutamente come si chiama, suppongo
che sia un accento ma non è che uno li può conoscere tutti per nome, io
poi faccio fatica perfino a distinguere l’accento grave da quello acuto
e li chiamo rispettivamente “quello così” e “quello cosá”.
Comunque se scrivo Malevic come si deve ci salta fuori: Malevič
quindi sono costretta ad abolire l’angolo.
Spero che Kazimir non la prenda male, ha avuto una vita difficile e non
vorrei infierire, inoltre immagino che uno fissato coi quadrati come Malevic
ci tenga ai propri angoli.
Mi auguro che questa premessa sia sufficiente a placare l’animo e l’anima
di Malevic, perché doveva essere un tipo piuttosto litigioso e non vorrei
evocare un fantasma russo transmentale, alogico e incavolato con me.
Devo ammettere che sono sempre stata incuriosita da Malevic. Come si fa
a non essere colpiti da uno che dipinge un quadrato bianco su fondo bianco,
poi titola l’opera “Quadrato bianco su fondo bianco” giusto per ribadire
il concetto! E Menna sostiene che l’arte concettuale contemporanea è tautologica…
che pivelli.
Malevic ha un talento speciale anche per i nomi: Suprematismo è sublime,
Architettoni e Planiti sono fantastici, sembrano usciti da qualche fumetto
della Marvel: Silver Surfer entrò planando nel planita… SLAMMM! L’impatto
con l’architettone proveniente dalla sfera di antimateria fu terribile…
e così via.
Mentre penso a queste cretinate guardo una foto del 1915, la sala di Malevic
alla mostra 0.10 di Pietrogrado.
Fa un effetto curioso vedere opere così importanti in questa sala che oserei
definire sminchiata. I quadri sono appesi fitti, storti e un po’ alla C.D.C,
incorniciati con listelli bianchi (il che adesso è normale, nel ’15 non
lo so ma ne dubito). Ci sono cartelli scritti a mano e una sedia che pare
dimenticata da Kosuth, tanto è depressa.
Nell’angolo in alto, attaccato alla cornice del soffitto, il celebre Quadrato
nero.
Sembra che le opere più rigorosa- mente suprematiste siano arrivate alla
mostra ancora fresche di pittura, perché Malevic le aveva realizzate dopo
aver litigato con Tatlin, che aveva dato a Kazimir del dilettante.
Malevic non ci ha visto più e ha dipinto una bella croce nera, evidentemente
quella sotto la quale si augurava di tumulare il caro Tatlin.
Devo dire che questa lite geometrica mi ha ricordato il famoso scisma delle
diagonali di Mondrian, quando van Doesburg osò profanare la vera fede dell’angolo
retto per volgersi all’eresia dell’angolo a 45°. Mondrian ovviamente non
poteva tollerare un simile affronto al neoplasticismo, quindi abbandonò
indignato l’apostata rinnegatore di perpendicolari e se ne andò da De Stijl,
scuotendo polvere e diagonali dai calzari.
Ma mentre Mondrian lo Stijl-ita si ritira in felice eremitaggio nel deserto
a mangiare locuste e a dipingere quadrati dai colori primari (almeno finché
non va a New York e impazzisce del tutto dedicandosi allegramente al boogie-woogie),
a Malevic le cose non vanno altrettanto bene.
Il rigore infatti non ammette incoerenze, se uno parte dicendo che la pittura
è autonoma rispetto alla realtà si trova necessariamente imprigionato in
una libertà assoluta.
Chi ha un minimo di coerenza, è costretto come Malevic a teorizzare il superamento
del fare pittorico e l’abbandono del pennello. Suppongo che in questa teorizzazione
sia stato influenzato dalla seconda moglie Sofia, dopo che aveva cercato
di appendere in soggiorno il milionesimo quadrato bianco…infatti se si predica
l’autonomia della pittura rispetto all’oggettività non è che restano molti
soggetti da dipingere, a parte quadrati e cerchi!
Io scherzo ma temo che in realtà la vita di Malevic sia stata poco gioiosa.
Razionalmente riesco a comprendere il suo rigore teorico, ma artisticamente
mi spaventa. Come si fa a pensare di liberare la pittura togliendole tutti
i legami con l’oggettività?
Pensandoci bene quello che sembra libertà è un rifiuto totale e feroce,
qualcosa governato dalla logica alogica, e anche se appare una costruzione
razionale alta (quale in effetti è) di fatto conduce a un isolamento dell’arte
nei confronti della realtà.
Anche Malevic a causa delle sue teorie sperimentò questo isolamento su se
stesso.
Nel ’27 in Russia la realtà artistica cambiò rispetto agli anni precedenti,
che avevano visto una grande attività di libera ricerca culturale. A Stalin
infatti non gliene frega un blini di architettoni e planiti che per la sua
concezione tubolare del concreto in pratica non servono a un tubo e decreta
la fine artistica di Malevic. Kazimir tiene l’ultima mostra nel ’29.
Qui trovo che la figura di Malevic acquisti una dimensione di abbandono,
nei pochi anni che gli restano (morirà nel 1935) ricomincia a dipingere
in modo figurativo, per lo più manichini senza volto, lui che aveva oltrepassato
i traguardi del cubismo e del futurismo con lucida determinazione, e si
era avventurato nell’universo silenzioso dei quadrati bianchi su fondo bianco
con la stessa eroica determinazione del capitano, disposto a colare a picco
con la sua nave poetica e solitaria.
Io di fantasia ne ho parecchia ma quasi non riesco a immaginare il senso
di alienazione che deve aver provato quest’uomo. Ha scritto, formulato teorie
e realizzato un lavoro che venne considerato rivoluzionario dagli artisti
più all’avanguardia della sua epoca. Aveva conosciuto Kandinskij, Majakovskij,
Gropius, Moholy-Nagy, solo per citane qualcuno. E’ stato un punto di riferimento
per molti, un avversario per altri.
Quando aveva cominciato ad insegnare a Vitebsk, le sue idee avevano trovato
ampie adesioni tra artisti e studenti, tanto che Chagall preferì lasciare
la direzione della scuola. Forse Chagall trovava impossibile conciliare
le sue mucche gialle e i suoi violinisti viola coi rigorosi quadrati bianchi
e neri di Malevic. Io lo posso anche capire, ma continuo a credere che l’arte
dovrebbe trascendere le persone, anche se Chagall considerava Malevic un
pazzo suprematista, forse le sue dolci fanciulle volanti non avrebbero avuto
problemi a coesistere con giovani geometrie.
Voglio dire che Malevic era un personaggio, le sue idee suscitavano polemiche
e liti tra gli artisti, alcuni erano entusiasti, altri furibondi. Il Suprematismo
era stata una sua personale creazione, un artista forte, determinato, pittore
e teorico.
Dopo una vita dedicata a un impegno culturale e creativo così intenso, soffro
a pensarlo isolato a dipingere manichini senza volto.
Non fraintendetemi, non c’è niente di male a dipingere manichini (non vorrei
che lo spettro di De Chirico si rivoltasse nella tomba), però Malevic non
voleva dipingere manichini o vasi di fiori, voleva dipingere quadrati, ma
pare che l’orientamento politico in Russia non potesse ammettere l’esistenza
di un’arte che per espressa dichiarazione non aveva applicazioni pratiche.
E’ strano, all’epoca uno dipingeva un quadrato e Stalin si faceva venire
una crisi isterica, e un quadrato al quadrato era considerato un attentato!
Adesso gli artisti possono dipingere quadrati, tondi, rombi, ovali, pentadodecaedri,
amebe, protoplasmi, strutture cristalliformi e molecole di plutonio, possono
fare la cosa più idiota che gli passa non dico per l’anticamera del cervello,
che già sarebbe troppo, basta che gli faccia una telefonata anonima all’ipotalamo
e loro la dipingono tranquillamente, tanto non gliene frega niente a nessuno,
va bene tutto.
Anzi, per un paradosso così ovvio che mi vergogno perfino a sottolinearlo,
più la trovata è eclatante meno suscita interesse.
Forse non ci crederete ma oltre al vitello in formalina c’è un artista che
espone gatti morti scuoiati e infilzati. Giuro.
E non ditemi che non è un artista, perché se il vitello segato in due viene
esposto in biennale tutti dicono che l’autore è un genio, ergo se i gatti
morti venissero esposti in una sede adeguata il commento sarebbe analogo.
Sia chiaro, non mi auguro un dittatore come Stalin per mettere alla prova
le capacità degli artisti. Però nell’arte contemporanea c’è qualcosa che
non quadra, e non sono i quadrati di Malevic.